Buonanotte Signor Lenin

[Ndr. il lungo viaggio di Tiziano Terzani nell'immenso territorio Sovietico nei giorni del crollo dell'impero comunista si conclude a Mosca con la visita al mausoleo di Lenin]  Pag. 409-411 del Libro di Tiziano Terzani: Buonanotte signor Lenin

Gli chiedo invece di accompagnarmi a vedere Lenin nel mausoleo. "Può essere l’ultima occasione che hai", dico. Di tutti gli eroi prodotti e fagocitati dalla Rivoluzione, non è rimasto che lui, l’unico in cui è stato finora possibile credere; lui morto in tempo per non essere stato responsabile dei massacri, Lenin, il Padre di una rivoluzione che poteva ancora dirsi santa, perché dissacrata solo dai suoi successori.

Ora anche lui viene tirato giù dal piedistallo della Storia. «Se non vieni a vederlo ora, potresti non vederlo mai più », dico, cercando di convincerlo. « Hai ragione. Lenin in quel mausoleo non ci rimarrà molto a lungo », e racconta che circolano ormai dei vecchi documenti del Comitato Centrale da cui risulta che i campi di concentramento funzionavano già al tempo di Lenin, che fu Lenin a ordinare operazioni terroristiche all’estero, che fu lui già nel 1917 a dire che gli Stati baltici, appena creati, dovevano essere destabilizzati e che bisognava punire i reazionari della Lettonia e dell’Estonia andando a impiccare i loro funzionari, i preti e i latifondisti.

Ci avviamo a piedi. La piazza non è più la «mia». Tutti gli accessi sono bloccati da transenne, decine di poliziotti hanno preso posizione sul selciato, pronti a dirigere la folla, per ora inesistente, dei pellegrini. Nell’androne del GUM, il posto dei due omosessuali e stato preso da un « matto » dice Sasha -che ha iniziato uno sciopero della fame perché vuole che venga arrestato il governatore della Crimea. « E responsabile della morte di 25 persone », c’è scritto sul cartello che tiene sul petto. Nessuno ci fa caso.

Entrare nel mausoleo è semplice: in coda non c’è nessuno. Al primo controllo debbo lasciare la mia Leica, al secondo debbo vuotare le tasche e poi in un attimo, quasi senza essere ancora pronti, con una decina di giovanotti alti e robusti, guardie del KGB coi loro berretti a padella che ci intimano di fare silenzio, Sasha e io entriamo nella cella del santo. Il marmo nero e grigio e lucido come uno specchio. Le bandiere rosse lungo le pareti mi fanno pensare a dei papaveri appassiti. Nel centro, dentro una bara di vetro, lui, Lenin, non un cadavere, una mummia, ma solo una testa calva, incipriata, con dei baffi e un pizzo posticci e due mani paffute, arancione, che lievitano, come sospese per aria.

Scenicamente l’impressione è forte. I poliziotti che ti stanno a un passo e ti scrutano come tu fossi li li per tirare una sassata contro quel vetro, l’intera cella nella penombra, e solo quei tre pezzi di corpo sospesi in un’aureola di luce, ti fanno sentire come arrivato a una meta proibita, partecipe di un mistero dinanzi al quale però non è permesso stare troppo a lungo. Ma io voglio stare! Presto tutto questo sarà spazzato via, cancellato, e non voglio, ora che sono qui, perdere un dettaglio, non godere di questa, presto irripetibile, apparizione. Lascio che Sasha vada avanti e mi muovo il più lentamente possibile attorno alla bara.

Sento di essere arrivato alla fine del mio viaggio e, come a ogni fine, mi sento perso. Per decenni l’Occidente ha avuto paura di tutto quello che quel cadavere rappresentava e ispirava. Ora mi viene come una gran paura per quello che avverrà nel vuoto lasciato da quel cadavere.

Come è possibile che tutti i sogni e le sofferenze cominciati nel 1917 coi « dieci giorni che scossero il mondo » siano finiti così in tre giorni d’agosto che non hanno scosso granché? Possibile che la « Grande Rivoluzione d’Ottobre » sia morta così, nel suo letto, a settantaquattro anni, semplicemente di vecchiaia? Finita senza catarsi? Senza resa dei conti? Sgonfiata come un pallone? Mi pare impossibile che la fine di quella lunga storia di illusioni e di assassinii, di speranze e di orrori sia tutta qui, in questo spegnersi come di un fuoco. Forse che il peggio ha ancora da venire?

Non ho dubbi: il comunismo è morto, ucciso dal suo stesso carattere e ancor più dai suoi amministratori-sacerdoti-burocrati che l’hanno avvilito e disumanizzato. Ma all’origine era una grande forza, una ispirazione. Il sistema è stato terribile, ma terribili non erano i principi in base ai quali il sistema era pensato e soprattutto terribile non era tanta della gente Che ci ha creduto. Tutto finito così senza una qualche giustizia? Si esce dalla porta posteriore del mausoleo e il tornare alla luce mi dà un senso di sollievo. Non a Sasha. « Ci sono strane vibrazioni qui. Meglio andar via.» Il percorso ci obbliga a passare sotto le mura del Cremlino e sotto le lapidi dedicate agli eroi della Rivoluzione, i più uccisi poi dalla Rivoluzione stessa, ma consolati dall’onore di finir seppelliti li, dentro la massa di mattoni color sangue.

La storia dell’orrore sovietico e in tutti quei nomi che Sasha mi legge, camminando sempre più in fretta fra le stele e le teste di pietra e di bronzo. Eccoli di nuovo: belli, forti, decisi. In tutto questo viaggio i soli uomini che ho incontrato felici, sereni, con una sicura visione della vita, erano quelli dei monumenti.

L’ Unione Sovietica ne ha prodotti a centinaia di migliaia. Erigere monumenti è stato parte della cultura socialista, è stato un suo patetico tentativo di compensare con un mondo di fantasia la miseria del mondo reale; un modo per dare almeno una immagine di quel che non è stato possibile. Il socialismo è nato pieno di sogni. Non li ha realizzati, ma li ha almeno messi nei bronzi e nelle pietre.

I monumenti restano fra le cose più belle, più positive, più creative prodotte da questo sistema. Peccato che ora anche loro vengano abbattuti col resto di quel mondo che va a pezzi! Purtroppo tutte le rivoluzioni e controrivoluzioni trovano facile, come prima affermazione del loro potere, distruggere la memoria storica dei loro predecessori e abbattere ogni loro tentativo di immortalarsi. Se la rivoluzione che ha luogo ora in questo immenso paese volesse davvero fare qualcosa di nuovo potrebbe impegnarsi a non distruggere i monumenti del socialismo. Servirebbero, se non altro, a ricordare quali erano le sue aspirazioni.

Non mi resta più molto tempo. Sasha propone di nuovo di portarmi all'aeroporto. Insiste, alla fine capisco che ha una qualche ragione per volerlo fare. Me la dice soltanto quando siamo arrivati e io, con la mia carta d'imbarco già in mano, debbo lasciarlo per andare al controllo passaporti e alla dogana. "Tu volevi prendere un taxi? Ma sai? Qui ormai non ci si può più fidare di nessuno. Alcuni tassisti sono semplicemente dei banditi e, specie se sei straniero e solo, non ci pensano due volte a far sparire te e tutti i tuoi bagagli sulla via dell’aeroporto. Capita spesso, e volevo esser sicuro che non succedesse anche a te! " L’immagine di Sasha con la mano alzata a salutarmi e l’ultima che mi resta negli occhi, l’ultima di una serie di personaggi che uno, partendo da questo paese dall’incertissimo futuro, si lascia dietro con inquietudine e con un immenso umano imbarazzo.

Personaggi veri, in carne e ossa, come il portiere ebreo di un palazzo di Alma Ata che recita in tedesco i versi della Lorelei senza saperne più il significato o la vecchia operaia d’una fabbrica di munizioni in Siberia che per trent’ anni ha aspettato invano d’avere un appartamento; personaggi fittizi, ma ugualmente veri nei sogni d’ un socialismo che non s’è realizzato, come l’ ingegnere di bronzo, coi capelli al vento e lo sguardo determinato, nel monumento ai pionieri in riva al fiume, a Komsomol sull’Amur; personaggi manipolati, mistificati come lui, Lenin, certo una delle grandi figure del nostro tempo, ma messo, a pezzi, in mostra per decenni a gravitare in un sarcofago di vetro e ora ad aspettare il momento in cui morire davvero ed essere relegato tra i falliti della Storia.

Alla fine m'ha fatto pena anche lui, così com'era nel mausoleo, ridotto a una testa vuota e a due mani color di un'arancia: non più dio, non più santo, neppure più "compagno". Per questo, voltandomi a guardarlo ancora una volta, con addosso gli occhi cattivi della guardie del KGB, m'è venuto spontaneo sorridergli e bisbigliargli:

"Buonanotte, Signor Lenin!".

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