Il Venezuela con la pancia vuota: "In fila per carne, latte e medicine, la rivoluzione ci affama". Nella lunga notte di Caracas: ospedali senza farmaci e bambini denutriti. A scuola insegnanti preoccupati perché i piccoli svenivano durante la lezione. Una crisi umanitaria che il governo di Maduro non riconosce. La Repuppblica 01 agosto 2016 - OMERO CIAI

LA PRIMA immagine è un ragazzino di dieci anni in bicicletta. Ha una busta di plastica con due sacchetti dentro. Si ferma: "Vuoi un chilo di riso? 4.500 bolivar", dice alzando la busta. Il prezzo è dieci volte quello stampato sul pacchetto e lui, il piccolo Andrés con i capelli chiari a caschetto e l'aria sbarazzina, è uno dei tantissimi bachaqueros che popolano Caracas. Bachaco in Venezuela è una grossa formica, e oggi, in questa infinita carestia, è diventato il termine per definire quelli che si dedicano al mercato nero dei prodotti - l'85 per cento di quelli di prima necessità - che non si trovano. Sonia, una maestra elementare, 35 anni, ci spiega che negli ultimi sei mesi centinaia di ragazzini hanno abbandonato la scuola per dedicarsi, insieme alle madri, al mercato nero. "A scuola - dice - svenivano dalla fame perché a cena avevano mangiato una banana, e non avevano fatto colazione, e siccome in molti istituti pubblici di Caracas ormai non funzionano più nemmeno le mense, per loro è diventato inutile venire in classe: molto meglio vendere prodotti introvabili ai ricchi". Il mercato nero è organizzato per piccoli clan, cinque, dieci persone.

C'è chi fa la fila nei supermercati, spesso d'accordo con qualche impiegato che, via whatsapp, li avvisa quando arriva qualcosa, e con i soldati che vigilano gli ingressi, e che grazie a qualche regalo, gli lasciano portar via molto di più di quello che sarebbe permesso. Poi c'è chi distribuisce. In questo modo l'inflazione è schizzata al 700 per cento. Era al 70 sei mesi fa. Zucchero, riso, olio, pasta e la ricercatissima farina di mais, quella con cui si fa l'arepa, un panino a forma di disco volante, che qui è un piatto nazionale, si trovano solo dai bachequeros. Ma anche pannolini, dentifricio, sapone, shampoo e carta igienica. Alcuni adesso li portano direttamente a casa. Si ordina sul cellulare e si paga con un trasferimento bancario. Basta averci il denaro.

Maria, una biologa con due figlie minorenni che vive a Rosales, un quartiere di classe media di Caracas, dice che da alcuni mesi spende il triplo di quello che guadagnano lei e suo marito, un insegnante, soltanto per comprare da mangiare. Uno stipendio medio non supera i 35 mila bolivar (35 dollari) e per la spesa ce ne vogliono più di 200mila, se va bene. Maria dice che loro stanno usando i risparmi e hanno iniziato a rinunciare a molte cose. Per primo alla carne e al pollo. Non comprano un vestito, né un giocattolo per le bambine che, da tempo, non hanno più la paghetta e escono di casa solo per andare a scuola. Hanno rinunciato all'assicurazione medica e licenziato la ragazza che veniva ad aiutare nelle faccende di casa.

Oggi, che è sabato, Maria è in fila, insieme a centinaia di altre donne nel cortile di una scuola di Rosales. Distribuiscono i "clap", delle buste con viveri a prezzi controllati. E' un'idea del generale Wladimir Padrino, capo delle Forze armate, nominato da Maduro superboss per affrontare l'emergenza dell'approvvigionamento alimentare. Per entrare devi essere nella lista, edificio per edificio, famiglia per famiglia. Tutto militarizzato. Nella busta di plastica scura ci sono un litro di succo d'arancia, un litro di latte (altrimenti introvabile) e due etti di burro. L'attesa può durare cinque o sei ore ma alla fine riesci a comprare anche un po' di pesce e verdura. Insieme a Maria c'è Eguys, 70 anni, pensionata, che oltre al frigorifero vuoto ha un problema molto più grave. Non trova medicine, soprattutto quelle per la pressione.

A "Come a casa", un ristorante di Altamira, altro quartiere di classe media ormai devastata, ristampano il menù due volte al mese per correggere i prezzi e cancellare piatti che non possono più cucinare. Aprono solo all'ora di pranzo. Dopo il tramonto a Caracas scatta un coprifuoco volontario. Nessuno s'avventura a uscire di casa. Colpa anche della criminalità: 28mila morti violente nel 2015. Ma soprattutto della mancanza di soldi da spendere.

Sei mesi fa - dice Sandra - non ero contenta se a casa non avevo la dispensa piena. Oggi per esserlo mi basta un piatto di yuca cotta". Qui la chiamano la dieta Maduro e, da una parte e dall'altra della barricata politica, con molto cinismo, ci scherzano anche. "Che altro volete la carne fa male meglio non mangiarla, lo dice anche l'Organizzazione mondiale della Sanità ", ha scritto un sito web dei chavisti al governo. E così, mentre la gente dimagrisce a vista d'occhio, nasce anche la dieta perfetta imposta a tutto il Paese dal presidente. Non c'è olio, quindi niente grassi. Non c'è zucchero, quindi non si rischia il diabete. Non c'è farina, quindi pochi carboidrati. Non c'è burro, quindi niente ciccia sulle cosce. Sono carissime anche le verdura e la frutta ma si trovano. Sandra, 45 anni, vive con il compagno, Carlos, in un ex ostello occupato a Quinta Crespo, un quartiere povero ma abbastanza centrale di Caracas. Hanno due stanze, lontane una dall'altra. In tutto poco più di 10 metri quadrati. In una c'è il letto attaccato ai fornelli e al frigo. Nell'altra il bagno e il magazzino. Sandra è cuoca ma adesso è in malattia, l'hanno operata alla ovaie, e non ha idea se ritroverà il suo posto quando finirà la convalescenza.

Carlos fa il parcheggiatore. Anni fa aveva un lavoro fisso. Motorista in Parlamento. Poi lo cacciarono, in una delle tante purghe di Hugo Chávez fra gli impiegati pubblici, perché firmò contro il caudillo. "D'altra parte non avevo scelta - dice -, lavoravo per un deputato dell'opposizione che mi avrebbe licenziato se non avessi firmato".

E qui, in un Paese sempre più sotto il controllo delle Forze armate, dei servizi di sicurezza e dei reparti speciali, c'è l'altra faccia dell'emergenza: la gente ha paura. Patrizia dirige a Caracas una clinica privata. I suoi genitori erano italiani e lei è una delle decine di migliaia di oriundi che vivono in Venezuela. "Negli ospedali - racconta - manca tutto, dagli antibiotici alle garze. Spesso è inutile ricoverare i feriti gravi perché non puoi curarli ma solo lasciarli morire". Non funzionano, per mancanza di ricambi, le attrezzature per fare le analisi. "Fare una mammografia e perfino un esame del sangue - aggiunge Patrizia - è diventato un incubo". I medici chiedono ai pazienti di comprare loro, se lo trovano, quel che serve. "Succede - spiega Patrizia - con i parti. Non c'è ossitocina, la sostanza che aiuta a dilatare l'utero, e se non la trova di contrabbando la famiglia della partoriente, bisogna fare senza ". Ma mancano anche i sieri fisiologici, le cure per i tumori e per il diabete, le pillole per il Parkinson, perfino gli antidepressivi e naturalmente gli antidolorifici.

Sono in crescita esponenziale i casi di morte dei neonati. In Venezuela erano lo 0,02% nel 2012 e sono diventati oltre il 2% ma è un dato dell'anno scorso. Negli ultimi sei mesi sarebbero ancora raddoppiati. E la situazione è molto più grave lontano dalla capitale, dove sono morti neonati nelle incubatrici per i black out della luce.

Dieci giorni fa il Paese s'è commosso per la morte della prima miss Mondo venezuelana, anno 1955, Susana Dujim. Aveva 79 anni e ha avuto un ictus dopo essere rimasta per settimane senza le pillole per controllare la pressione che non riusciva più a trovare. Ma sulla catastrofe sanitaria c'è la censura del governo che si rifiuta di riconoscere la crisi umanitaria e di chiedere aiuto agli organismi internazionali per rifornire il Paese dei farmaci necessari. "Prima l'indipendenza e la sovranità socialista - dice Maduro - , qui non entra nessuno, non abbiamo bisogno di aiuti".

Se n'è andato Luis, in Florida, a pulire piscine. Se n'è andata Daniela, in Scozia. Se n'è andato Angel, in Spagna. Se n'è andata anche Claudia in Cile. Chi ci riesce mette in salvo i propri cari. Due milioni e mezzo di persone sono emigrate dall'inizio, ormai quasi vent'anni fa, dell'avventura chavista. Ma mentre prima partiva la borghesia ricca, ora fa le valigie anche la classe media bassa. La diaspora si espande. E qui non si parla d'altro che di come andarsene e di quelli che si preparano a andarsene. I "no show" sui biglietti di ritorno per i voli negli Stati Uniti sfiorano il 70 percento.

Luigi, 40 anni, un altro italiano, imprenditore con una fabbrica tessile e cento operai: "Ho ridotto la produzione del 60% negli ultimi sei mesi, cancellato tutti i contratti con l'indotto, se continua così a dicembre fallisco. La metà della mia famiglia, fra figli, fratelli, nipoti e cugini, ha già lasciato il Venezuela". D'altra parte questo è un Paese che si sta fermando e come un'auto spenta in salita caracolla all'indietro.

Dice Alfredo, un chirurgo: "Siamo tornati a lavorare in sala operatoria come negli anni Quaranta del secolo scorso. Ai miei assistenti dico di guardare Mash, il film di Altman sull'ospedale da campo in Corea, per imparare qualcosa". Non ci sono più aziende straniere. Una delle ultime, l'americana Kimberly Clark, che produceva fazzoletti, pannolini e tovaglie di carta, ha chiuso la settimana scorsa ed è stata nazionalizzata. L'aeroporto di Maiquetía è mezzo deserto. Hanno cancellato Caracas dalle loro rotte compagnie come la Lufthansa, l'Alitalia, Air Canada, e molte di quelle statunitensi.

L'ultima, questa settimana, a sospendere i voli è stata Latam, la più importante tra le sudamericane. Una conseguenza dei debiti miliardari del governo venezuelano, che per anni ha costretto le compagnie aeree a vendere biglietti calmierati con la promessa, non mantenuta, che le avrebbe risarcite. Un'altra delle politiche populiste di Chávez in voga quando il petrolio oltre i cento dollari al barile metteva il turbo alla festa. Oggi il bilancio statale non basta a coprire neppure la metà delle importazioni necessarie a sfamare il Paese.

Cambiare le gomme all'auto costa una fortuna e guai se si rompe un condizionatore. E' sparita anche la chirurgia estetica, croce e delizia delle venezuelane. "Ma l'incubo di questa lunga notte - dice l'economista Tamara Herrera - è appena cominciato". La situazione politica è ormai allo scontro aperto. L'opposizione, che ha stravinto le elezioni parlamentari a dicembre, vuole un referendum per abrogare Maduro che, invece, usa tutti i suoi poteri per allontanare il giudizio finale. Ora ha firmato un decreto grazie al quale può costringere gli impiegati pubblici a lavorare nei campi per combattere la crisi alimentare.

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