Il comunismo: una malattia mentale

Gorizia, 17 mag 2015 – Prendo spunto dall’atmosfera creata dalla sinistra contro il corteo di CasaPound a Gorizia per analizzare lo stile di pensiero di quella ideologia che va genericamente sotto il nome di “comunismo”.

Vladimir Bukovskij disse molto tempo fa che non può esistere un comunista intelligente e in buona fede: se è in buona fede, è un cretino, se è intelligente ha interessi personali sufficientemente loschi per esserlo. Il grande dissidente russo non era a conoscenza di un’altra variabile, oltre alla sua condivisibile interpretazione.

La terza alternativa veniva proposta nel 1996 dal professor Raffaele Vizioli, ordinario di Neurologia all’Università “La Sapienza” nonché vice-presidente della Società italiana di Psichiatria biologica, in un saggio dal titolo “Psicopatologia del comunismo”. Al di là delle specificazioni didattiche, e valutando soltanto il comportamento verbale e non verbale dei vari comitati antifascisti e pacifisti, si può facilmente arrivare ad una diagnosi di psicosi paranoide con ragionevole certezza.

Il pensiero del comunista è organizzato su uno schema esclusivamente emotivo, che nega qualsivoglia parametro di realtà e che agisce sugli strati pulsionali e primitivi del sistema rettile del cervello.

Il meccanismo psicopatologico è facilmente comprensibile con alcuni esempi. “Il comunismo ha sempre combattuto per la democrazia, la libertà e il benessere dell’uomo”. Ora, c’è qualcuno che possa documentare questa affermazione in un qualunque paese del mondo – dalla Rivoluzione di ottobre ad oggi? C’è qualche popolo che possa testimoniare sulla prosperità ottenuta e sui diritti individuali esercitati in un potere comunista? Nessuno.

I disastrati apologeti ti risponderebbero che quello non era il “vero” comunismo, e che il vero comunismo è altro e altrove. “Il comunismo è il difensore delle minoranze e delle ragioni personali”. Dove? In Italia, dove il PCI espelleva l’omosessuale Pasolini per indegnità morale? In Spagna, paese europeo che ha conosciuto la più sanguinaria eliminazione degli anarchici alleati? All’Est? Dove in nome dell’ateismo di Stato vennero imprigionati e soppressi decine di migliaia di cristiani e le chiese trasformate in granai? [Qui purtroppo l'articolista è vittima di un luogo comune della grossolana propaganda stalinista: "chiese trasformate in granai".. Come sanno bene gli ucraini, i polacchi e i russi, la maggioranza delle chiese non fu affatto trasformata in grani ma in cinematografi di regime, in "musei dell'ateimso" ecc. (in Ucraina la collettivizzazione forzata ha causato oltre dieci milioni di morti.. il granaio d'Europa ridotto alla fame! Altro che granai! Holodomor - sterminio per fame N.d.r) ]

“Il comunismo è per la pace tra i popoli”. È un po’ difficile da sostenere questa tesi da parte di una ideologia che ha procurato oltre cento milioni di morti [ si veda: Il comunismo in cifre], a meno che per pace non si consideri quella eterna cimiteriale di tutti gli oppositori attivi, e quella della censura poliziesca che ha riempito carceri e gulag di dissidenti di ogni tipo.

Gli esempi potrebbero continuare, ma una domanda sorge spontanea: se questa è una malattia, quale potrebbe essere la cura? È qui che la questione si fa scottante.

Il problema clinico è talmente grave che rientra in quei disturbi che vengono considerati non solo incurabili, ma addirittura intrattabili. L’ideal-tipo comunista è un narcisista talmente invischiato nella propria falsa identità che non può tollerare un confronto con la realtà.

I suoi meccanismi difensivi sono quelli primitivi: la negazione, che allontana ogni responsabilità e presa di coscienza, e la proiezione, che rinvia ad altri ogni causa dei fallimenti e delle frustrazioni. Mentre da un lato c’è una percezione inconscia, e inammissibile razionalmente, del fallimento personale e politico, dall’altro subentra una compensazione patologica per affrontare il senso di impotenza e di delusione.

La sua debolezza, la sua incompetenza e la sua disgrazia esistenziale scatenano delle reazioni eccessive che, alla fine, diventano un vero e proprio abito mentale ed una struttura caratteriale. Il comunista non accetta l’incertezza, quindi la dialettica ragionata, ma vive e si relaziona con l’altro e il mondo circostante solo attraverso il filtro del sospetto e della diffidenza, perché le sue difese psicotiche – fondamentali per sostenere una pur distorta immagine idealizzata di sé – gli impediscono di confrontarsi con punti di vista altrui, di accettare un livello di fiducia, di condividere ipotesi e prospettive.

Il mondo comunista è una “pseudocomunità paranoide”, cioè un sistema immaginario dentro al quale c’è la verità e la giustezza, mentre fuori prevale un dispositivo persecutorio e cattivo.

Tale stato psichico comporta necessariamente un unico sentimento: l’odio. In altre parole, se tutto è interpretato contro di lui, tutto è nemico, quindi da odiare e da distruggere. All’interno di questa logica perversa e regressiva, il contraddittorio non può essere tollerato e l’unica azione possibile è tacitare chiunque sia percepito come un pericolo per la propria identità contraffatta e malata.

Stravolgimento della realtà, negazione della stessa e presunzione di verità assoluta da imporre con ogni mezzo. Questa è la dinamica paranoica e comunista. Si racconta da parte di Trockij che di fronte ad un progetto velleitario e inconcludente Lenin questi abbia risposto: “Se il mio piano contrasta con la realtà, peggio per la realtà”. Lenin ha fallito, il comunismo è miseramente finito, l’unica cosa certa – al di la dell’impossibile dialogo – che questi relitti rimasti moriranno pazzi.

Adriano Segatori

http://www.ilprimatonazionale.it/cultura/il-comunismo-e-una-malattia-mentale-23582/

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