Persecuzioni comuniste a danno dei cani e cavalli

Aleksandr Solgenicyn in Arcipelago Gulag vol. 2, capitolo XVI “I Socialmente vicini” (pag. 435) fa una illuminante annotazione sulla psicologia dei comunisti:
“Nella coerente lotta contro l'individualità all'uomo è stato tolto in primo luogo un amico: il cavallo, promettendogli in cambio un trattore. (Come se un cavallo non fosse che forza trattrice dell'aratro, e non un amico che partecipa ai travagli e alle gioie, non un membro della famiglia, non una parte della tua anima!). Subito dopo incominciarono a perseguitare incessantemente anche l'altro amico, il cane.

"Li censivano, li portavano ai macelli, spesso squadre dei Soviet locali sparavano a ogni cane che incontravano. Il fatto non era dovuto a considerazioni igieniche o a grette considerazioni economiche (questo è invece il caso di Mao, e dell'assurda lotta ai passeri fatta dai comunisti cinesi: si veda Lo sterminio dei passeri voluto da Mao Tze Tung ) la radice era molto più profonda: il cane non ascolta la radio, non legge i giornali, è una specie di cittadino non controllato e fisicamente forte, ma la forza non va a vantaggio dello Stato bensì a difesa del padrone come personalità, (e sopratutto il cane difende la proprietà privata Ndr) indipendentemente dalla delibera presa sul suo conto dal Soviet locale o dal mandato con cui verranno ad arrestarlo di notte."

In Bulgaria nel 1960 è stato seriamente suggerito ai cittadini di allevare invece di cani... maiali.
Il maiale non ha principi, produce la carne per tutti coloro che hanno un coltello.

Tuttavia la persecuzione dei cani non si è mai estesa ai cani lupo “operativi” e di custodia, utili allo Stato”.

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