Il progetto di Gorbaciov di trasformare l’Unione Sovietica in una confederazione di Stati sovrani fallì dopo la secessione di varie Repubbliche. Nel settembre del 1991 l’Urss, già parzialmente disintegrata si dissolse.
Soltanto Stalin
Indro Montanelli 28 novembre 1988
Ero in Israele, anni cinquanta, quando dalla Russia di Kruscev cominciarono a giungere i primi segni di disgelo e di qualche apertura di frontiere. «Ne sarete contenti», dissi a Golda Meir, «ora anche i vostri potranno avere il passaporto.» «Contenti?» rispose lei. «Ne siamo atterriti. Quei popoli lì la prima libertà che si prendono quando gliene danno qualcuna è di ammazzare gli ebrei e poi di ammazzarsi fra loro.»
Non è necessario essere un cremlinologo — razza fortunatamente in estinzione — per capire cosa sta succedendo in Russia e perché succede solo ora. Basta un po’ di Storia (e mi scuso per l’ovvietà del suoi suggerimenti). Quel Paese non ha mai conosciuto la democrazia — e temiamo che non possa conoscerla nemmeno nel prossimo futuro — non per qualche celeste maledizione ma perché, per tenere insieme le popolazioni che si è messa da secoli in corpo, ha sempre avuto bisogno di un potere centrale di ferro, secondato da una Polizia occhiuta e invadente. Lo fu quello degli zar, che cadde quando accennò a smettere di esserlo. Lo è stato quello di Lenin, di Stalin [si veda anche: Lenin maestro di Stalin nella pratica del terrore NRD] e dei suoi successori, fino a Breznev. Non vuole più esserlo quello di Gorbaciov, e la prima libertà che gli azerbaigiani sì prendono è quella di ammazzare gli armeni. Tanto per cominciare.
Forse i padri della rivoluzione erano in buona fede quando dettero al loro Stato il nome di Urss, che significa Unione delle repubbliche sovietiche socialiste con pieno riconoscimento delle vari etnie che la compongono. Erano convinti di aver trovato un mastice più efficace della coazione poliziesca: l'ideologia.
A furia di scrivere e di ripetere che i nazionalismi sono soltanto creazioni e inganni del capitalismo, è probabile che abbiano finto per crederci.
Soppresso il capitalismo nei ceti sociali che lo incarnavano, i popoli proletari si sarebbero sentiti fratelli al di sopra di ogni differenza di sangue, di lingua, di cultura, di religione.
La verifica l'abbiamo sotto gli occhi. Certamente Gorbaciov aveva previsto le tremende resistenza che la sua perestrojka avrebbe trovato nella cosiddetta nomenklatura, detentrice del potere con il diritto di abusarne, e quindi ben risoluta a difenderlo. Ma forse non immaginava che la minaccia più grossa al suo riformismo decentratore sarebbe venuta dall'esplosione dei nazionalismi, che ora rischiano di travolgerlo.
Alcuni commentatori sostengono che ad accendere la miccia ed a propagare l’incendio siano proprio gi elementi conservatori (quelli che si riconoscerebbero, non so con quanta pertinenza, in Ligaciov), per dimostrare che i nazionali si combattono in un modo solo, quello di Stalin, e provocare così un ritorno ai suoi metodi. Può darsi. Ma la domanda che si pongono — ne siamo sicuri — i nostri lettori è se ce la farà Gorbaciov a domare l’incendio coi metodi suoi.
Purtroppo, è una domanda cui nemmeno lui è in grado, ora come ora, di rispondere. Noi siamo convinti della sua buona fede. Così come lo siamo della sua capacità di manovra. L’uomo è di stazza. Ha visione strategica e coraggio da vendere. E se riuscisse a realizzare solo una metà di ciò che evidentemente ha in testa passerebbe alla Storia come il più grande protagonista di questo secolo, che pure di grandi protagonisti — nel bene e nel male — ne ha visti passare parecchi. Ma da dilettanti, a naso, e nella speranza di sbagliarci - non gli diamo più del trenta per cento di probabilità.
Comunque due lezioni ci sembra di poter trarre sin d’ora da questa vicenda. La prima è che se settant’anni d’Internazionalismo proletario praticato senza esclusione di colpi non sono bastati a debellare i nazionalismi, vuoi dire che il sangue la lingua, la religione la cultura sono più forti dell'ideologia. La seconda è che i totalitarismi sono più facili o meno difficili da montare che da smontare. A liberalizzare la Russia e a guarirla dallo dallo Stalinismo poteva forse riuscire un uomo solo: Stalin.