"Ubriachi di parole e spin, i giornalisti della classe media non possono essere disturbati dalle complesse costruzioni fisiche che rendono possibile la civiltà moderna. I lavoratori che costruiscono e mantengono queste meraviglie sono riconosciuti solo se possono essere calati nello status di vittima. Ma se hanno il coraggio di pensare a se stessi e di votare diversamente dai loro sovrani liberal, sono marchiati come paria. In sintesi: per avere una speranza di riprendere la Casa Bianca, i democratici devono scendere dal loro cavallo alato, perdere la retorica rabbiosa e riorientarsi verso la realtà pratica e il paese libero dove sono dannatamente fortunati a vivere."

La regina dell’anticonformismo, Camille Paglia, su Trump e contro i media ubriachi di parole, contro un liberalismo cieco sull’islam e sul perché, da femminista, ritiene che l’ideologia gender non abbia capito nulla di sesso e biologia

24 Luglio 2017 - Il Foglio

Scrive il Weekly Standard (1/7) – Jonathan V. Last del settimanale americano Weekly Standard ha intervistato Camille Paglia, scrittrice, femminista, contrarian.

Jonathan V. Last: Donald Trump ha recentemente litigato con Jim Comey, Bob Mueller, Sadiq Kahn, Emmanuel Macron, Angela Merkel, la Nato, e ci fermiamo lì. Lei fa parte di un numero molto piccolo di persone che hanno compreso il richiamo populista di Trump. Guardando alla sua presidenza finora, pensa che continui a farlo e a quale proposito? Che cosa sta facendo bene? Cosa male?

Camille Paglia: Prima di tutto, devo chiarire le mie affiliazioni politiche. Sono una democratica che ha votato per Bernie Sanders alle primarie nel 2016 e per Jill Stein nelle elezioni generali. Come molti altri, all’inizio non ho preso seriamente la candidatura di Donald Trump. Tuttavia, Trump ha costantemente guadagnato slancio a causa della incredibile incompetenza e mediocrità dei suoi avversari nel Partito repubblicano. Tutti, inclusa Hillary Clinton, pensavano che Marco Rubio fosse il candidato repubblicano. Ma sotto lo sguardo irrefrenabile della telecamera, Rubio sembrava un adolescente superficiale, decisamente impreparato per essere il comandante nell’èra del terrorismo. A ogni dibattito, Ted Cruz accumulava sempre più detrattori, respinti dalle sue fragili auto-drammatizzazioni e dalla megalomania lugubre. C’erano due geniali governatori moderati che avrebbero potuto trionfare, Scott Walker e John Kasich. Il punto è che Donald Trump ha vinto la corsa alla nomination contro una serie di avversari seri ed esperti che semplicemente non sono riusciti a connettersi con la maggioranza degli elettori repubblicani. Le accuse di sessismo su Trump erano relativamente poche e minori, rispetto alla lunga lista di affermazioni luride sul predatore Bill Clinton. La mia posizione continua a essere che Hillary, con il suo superlativo stile alla Maria Antonietta, era un candidato disastrosamente sbagliato per il 2016. Dopo la vittoria di Trump, sia il Partito democratico sia i media delle grandi città hanno urgentemente bisogno di fare un’autoanalisi scrupolosamente onesta, perché i risultati delle elezioni hanno dimostrato chiaramente che Trump stava parlando di preoccupazioni vitali (posti di lavoro, immigrazione e terrorismo) per i quali i democratici avevano poche soluzioni concrete. Infatti, per tutta la campagna, troppi leader politici democratici si preoccupavano di questioni interne e si mostravano stranamente disinteressati negli affari internazionali. I più fervidi accoliti di Hillary (specialmente i giovani e le donne di mezza età e le celebrities) sembravano ottusamente indifferenti alla sua performance tiepida come segretario di stato, durante la quale ha accumulato miglia aeree senza realizzare praticamente nulla tranne la destabilizzazione del Nordafrica. Come i democratici immaginano di poter espandere il loro sostegno elettorale se continuano con questo atteggiamento autodistruttivo, attaccando la metà della nazione come vile, razzista e omofoba? Tutto ciò ci porta al tema della performance di Trump fino a oggi. Non sono una fan di ordini esecutivi, che usurpano le prerogative del Congresso. L’Amministrazione è piena di responsabilità per le vibrazioni di una “resistenza” già resuscitata. Tuttavia, non riesco a vedere il caos nella Casa Bianca che i media mainstream (così come i never Trumpers conservatori) continuano a dipingere, o meglio, non vedo più del caos abbondantemente presente nei primi sei mesi di entrambi le amministrazioni Clinton e Obama. Trump sembra tentare metodicamente di soddisfare le promesse della sua campagna, in particolare per quanto riguarda l’economia e la deregolamentazione. Molti democratici altamente istruiti e della classe superiore considerano se stessi come esemplari di ‘compassione’ (che hanno elevato a principio politico supremo) eppure abitualmente demoliscono gli elettori di Trump come ignoranti e urlanti. Questi democratici delle élite occupano un meta-regno amorfo di emozioni soggettive, astrazioni teoriche e linguaggi raffinati. Questa divisione concettuale era evidente quando i media, consumati dalle loro fantasie rudi, erano fissati sulla testimonianza del capo dell’Fbi, James Comey, davanti al comitato di intelligence del Senato. Nel frattempo, Trump faceva osservazioni presso il dipartimento dei Trasporti e le sue parole su ferro, alluminio e acciaio sembravano taglienti come un coltello attraverso le onde radio. Naturalmente questo discorso ha una scarsa copertura nei media mainstream. Ubriachi di parole e spin, i giornalisti della classe media non possono essere disturbati dalle complesse costruzioni fisiche che rendono possibile la civiltà moderna. I lavoratori che costruiscono e mantengono queste meraviglie sono riconosciuti solo se possono essere calati nello status di vittima. Ma se hanno il coraggio di pensare a se stessi e di votare diversamente dai loro sovrani liberal, sono marchiati come paria. In sintesi: per avere una speranza di riprendere la Casa Bianca, i democratici devono scendere dal loro cavallo alato, perdere la retorica rabbiosa e riorientarsi verso la realtà pratica e il paese libero dove sono dannatamente fortunati a vivere.

 JVL: Un’altra grande notizie delle ultime settimane è stato il terrorismo in Gran Bretagna. Si dice che non sia terrorismo “islamico”, ma piuttosto terrorismo “islamista”. Il fatto che il liberalismo occidentale sia così avvolto su come parlare dei suoi nemici significa qualcosa?

 CP: Il liberalismo degli anni Cinquanta e Sessanta esaltava le libertà civili, l’individualismo e il pensiero e il discorso critico. Ma il liberalismo di oggi è diventato grottescamente meccanicistico e autoritario: si tratta di ridurre gli individui a un’identità di gruppo, definire quel gruppo in termini di vittime e negare agli altri il loro diritto democratico a sfidare quel gruppo e la sua ideologia. La correttezza politica rappresenta l’istituzionalizzazione fossilizzata di idee rivoluzionarie un tempo vitali, che sono diventate semplici formule ridondanti. E’ repressivamente stalinista, dipendente da una burocrazia labirintica e parassitaria per far rispettare i suoi dettami vuoti. La riluttanza o l’incapacità dei liberal occidentali di affrontare il jihadismo è stata catastroficamente controproducente in quanto ha ispirato un costante aumento della politica di destra in Europa e negli Stati Uniti. I cittadini hanno un diritto assoluto a chiedere la sicurezza al loro governo. Le contorsioni a cui tanti liberal ricorrono per evitare di collegare bombardamenti, massacri, persecuzioni e vandalismi culturali al jihadismo islamico sono notevoli, data la loro usuale animosità contro la religione, soprattutto il cristianesimo. L’islam rimane al di là delle critiche perché è in gran parte una religione di non-bianchi, le cui due città sacre occupano un territorio una volta oppresso dall’imperialismo occidentale. Troppi liberal occidentali laici trattano l’islam con la condiscendenza paternalistica.

JVL: Continuo ad aspettare lo scontro tra femminismo e transgenderismo.

CP: Le femministe si sono scontrate con gli attivisti transgender molto più pubblicamente nel Regno Unito che qui. Ad esempio, due anni fa c’è stata una campagna organizzata, tra cui una petizione con tremila firme, per annullare una conferenza di Germaine Greer all’Università di Cardiff a causa delle sue opinioni “offensive” sul transgenderismo. Greer, una studiosa di letteratura che era una delle grandi pioniere del femminismo della seconda ondata, ha sempre negato che gli uomini che hanno subito interventi di riconversione sessuale siano in realtà “donne”. E nel 2014, “Sex Hurts”, un libro della femminista radicale australiana Sheila Jeffreys, ha creato una polemica nel Regno Unito. Jeffreys identifica il transessualismo con la misoginia e lo descrive come una forma di “mutilazione”. Sono molto scettica sull’attuale ondata transgender, che ritengo sia prodotta da fattori psicologici e sociologici molto più complicati che il discorso di genere attualmente consente. E’ certamente ironico come i liberal, che agiscono come difensori della scienza quando si tratta del riscaldamento globale (un mito sentimentale non supportato dalle prove) rifuggano ogni riferimento alla biologia quando si tratta del sesso. La verità biologica cruda è che i cambiamenti sessuali sono impossibili. Ogni singola cellula del corpo rimane codificata dal proprio sesso per tutta la vita. Le ambiguità intersex possono verificarsi, ma sono anomalie che rappresentano una minima percentuale di tutte le nascite umane. In una democrazia, tutti dovrebbero essere liberi da molestie e abusi. Ma allo stesso tempo, nessuno merita diritti speciali, protezioni o privilegi in base alla propria eccentricità.

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