Non la religione, ma il comunismo marxista fu il vero “oppio dei popoli”

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«La base filosofica del marxismo, come Marx ed Engels hanno più volte affermato, è il materialismo dialettico, incondizionatamente ateo, risolutamente ostile a ogni religione»
. Così si esprimeva Nikolaj Lenin, uno dei più feroci e sanguinari terroristi della storia umana (in L’atteggiamento del partito operaio verso la religione, Opere complete, Editori Riuniti 1967, vol. XV, p.381).

Lenin non era un folle, un delirante, ma un fine e colto intellettuale russo. Mise semplicemente in pratica la filosofia socio-politica di Karl Marx e Friedrich Engels. Per loro, la religione altro non era che uno strumento di dominio della classe al potere, un mezzo coercitivo e narcotizzante del popolo. Ma, specularmente, era anche la proiezione di se stessi in un dio immaginario, nel quale l’uomo cercherebbe consolazione sotto le mentite spoglie dell’aspirazione a una salvezza eterna. Da una parte l’espressione di un potere coercitivo e dall’altra la via di fuga contro esso, concludendo così che la religione «è l’oppio dei popoli» (K. Marx,Per la critica della filosofia hegeliana del diritto, in Opere, Newton Compton 2011, p.19).

Una teoria che riscosse grandissimo successo e convinse innumerevoli intellettuali, nonché ampie parti del popolo. E’ la teorizzazione filosofica più riuscita dell‘ateismo socio-politico, come l’ha ben definito e descritto il filosofo Roberto Timossi nel suo Nel segno del nulla. Critica dell’ateismo moderno (Lindau 2016). Marx teorizzò una gigantesca allucinazione collettiva, Dio e la religione, proclamando l’ateismo come strumento di liberazione dell’uomo dalle catene dello sfruttamento sociale, la logica conseguenza della necessaria lotta di classe degli oppressi contro gli oppressori. E, come soltanto la società senza classi consente la piena realizzazione della libera natura umana, allo stesso modo «l’eliminazione della religione come illusoria felicità del popolo è la condizione della sua felicità reale» (K. Marx, Per la critica della filosofia hegeliana del diritto, in Opere, Newton Compton 2011, p.19).

Ironia della sorte, la realtà storica concreta dei paradisi comunisti che vennero creati, imponendo l’ateismo come forma di liberazione sociale e dottrina dello Stato socialista (da Lenin in poi), è stata tragicamente rivelatrice dell’allucinazione di massa che Marx produsse nei suoi contemporanei e successori. Nelle università sovietiche, raccontano oggi i superstiti, come la poetessa Ol’ga Aleksandrovna Sedakova, «ottenere un diploma, senza dare gli esami delle materie ideologiche, tra cui l’ateismo scientifico era impossibile». Lenin, trasferì l’ateismo socio-politico dal piano teorico a quello della prassi politica, convincendosi della necessità di un «ateismo militante», come ebbe a definirlo (V.I. Lenin, Sul significato del materialismo militante, in Opere scelte, Editori Riuniti 1973, p.381), usato dal partito del proletariato per dichiarare la religione un fatto privato, senza tuttavia «per questo ritenere un affare privato la lotta contro l’oppio del popolo, la lotta contro le superstizioni religiose». Le chiese e le organizzazioni religiose vennero considerate strumenti della reazione borghese per «difendere lo sfruttamento e stordire la classe operaia», per questo andavano fisicamente sradicate, impedendo che i proletari continuassero ad essere ingannati e sfruttati dai ceti dominanti.

«L’ateismo antropologico di Feuerbach, passato attraverso quello socio-politico del materialismo dialettico marxista, sfocia così inesorabilmente nell’ateismo giacobino-leninista», ha commentato Roberto Timossi. Dal marzo 1922, in perfetta coerenza, diventato capo della rivoluzione russa, Lenin ordinò un’offensiva generale contro la religione cristiana, distruggendo chiese e campanili e provocando oltre 8000 morti tra i religiosi (R. Pipes, Il regime bolscevico. Dal terrore rosso alla morte di Lenin, Mondadori 1999, p.390). Lo stesso accadde ovunque si affermò il potere comunista, instaurando l’ateismo di Stato: dall’Albania di Hoxa alla Jugoslavia di Tito, dalla Cambogia di Pol Pot alla Romania di Ceausescu.

Al di là del tragico fallimento del comunismo marxista, a dimostrazione della falsità dei suoi assunti, come replicare a chi ancora oggi si rifà teoricamente a Marx e indica la religione come “oppio dei popoli”? Il primo a confutare tale tesi fu proprio un marxista “eretico”, Ernst Bloch, che trovò assai riduttivo ricondurre tutto il fenomeno religioso ad uno strumento di alienazione delle masse da parte del potere, replicando che le religioni sono state anche opposizione alla classe dominante, divenendo adversa regni. Inoltre, ha sottolineato Timossi, «l’idea del divino e del sentimento religioso, sussistono a prescindere dall’uso strumentale che ne possono fare un ceto dominante o un’istituzione di potere: una verità resta infatti sempre tale, anche qualora venga strumentalizzata da qualcuno» (p. 231). Senza contare che le prime tracce di culto risalgono ai Paleantropi (come l’uomo di Neanderthal), dimostrazione che la religiosità emerse spontaneamente tra i primi individui della nostra specie, ben prima dell’ideazione e pianificazione di un potere organizzato attraverso la religione.

La seconda accusa di Marx (ripresa da Feuerbach), quella che guarda al sentimento religioso come ad un “oppio” di consolazione davanti alla miseria esistenziale e alla morte, è più insidiosa e tradisce una enorme incomprensione di cosa sia il cristianesimo. Un messaggio tutt’altro che consolatorio anzi, decisamente scomodo: non esiste più la legge del taglione ma il porgere la guancia al nemico, non sussiste il “ciò che voglio” ma il “ciò che devo”, la fedeltà, la monogamia e la serietà sono la base della morale affettiva e sessuale, non la “mia” ma la “Tua” volontà sia fatta, a Te dovrò rendere conto di tutto questo. Come disse Georges Bernanos, «la verità non rassicura nessuno, la verità impegna!». Oltre che falso, almeno per quanto riguarda il cristianesimo, l’argomento feuerbachiano-marxista può essere legittimamente rigirato verso gli stessi accusatori: se la fede nasce dalla paura del buio, allora l’ateismo emerge dalla paura della luce e dell’impegno, è un rifugio, un palliativo psicologico per evitare di confrontarsi con richiami stringenti, riconducendo la coscienza ad un mero epifenomeno. La negazione di Dio può dunque legittimamente essere vista come l’illusione attraverso cui ci si convince di non dover rendere conto a nessuno.

Il comunismo-marxista è stato, lui per davvero, l’oppio delle masse. Una droga velenosa e mortifera, però, che intendeva portare libertà ed invece, nel suo nome, ha condotto alla morte milioni di persone, costringendo altrettante alla morte non fisica, ma spirituale. Il bisogno di Infinito che caratterizza l’animo umano non è un’illusione, è una sfida continua a chi non crede: o ricondurlo ad un’illusione della natura o ad un oppio calato nell’uomo dalla classe dominante, oppure riconoscerlo come firma del Creatore perché l’uomo non si allontani troppo da lui. Ad ognuno la scelta.

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