Come Auschwitz è il luogo-simbolo dei campi di sterminio nazisti, così Kolyma identifica l’ultimo cerchio del Gulag staliniano e sovietico, anche se questo nome sinistro non ha minimamente la notorietà del primo.
Il nome jakuto di Kolyma ha indicato dapprima il grande fiume (2500 km di lunghezza) dell’estremo nord-est della Russia che nasce dai monti Tas Tyskabet, poco più a nord di Magadan, e sfocia nel Mare della Siberia orientale. Nel suo bacino superiore furono scoperti nel 1928 grandi giacimenti d’oro e successivamente anche di altri importanti minerali come stagno, carbone, tungsteno, molibdeno, uranio.
Kolyma designa anche un enorme territorio subartico ed artico segnato dal fiume e dalla catena montuosa dello stesso nome. Il suolo in gran parte è costituito dal permafrost (in russo merzlota), la temperatura si spinge fino a 50-60 gradi sottozero. Tundra e taiga ne formano il paesaggio dominante.
La Kolyma comprende la grande regione (oblast’) di Magadan e parti del Territorio autonomo della Cukotka a est e della Repubblica di Jakutija a ovest. È delimitata a nord dai Mari della Siberia orientale e Artico e dal Mare di Ochock a sud.
Questo territorio, pressoché inesplorato fino al 1926, era popolato in epoca zarista da poco numerose popolazioni indigene seminomadi (cukci, evenki, jakuti, korjaki) e da pochissimi russi, discendenti da remote migrazioni di cosacchi e da deportati nell’epoca zarista. Dopo la scoperta dell’oro nel bacino superiore del fiume Kolyma e in quello dell’Indigirka, il potere sovietico e Stalin personalmente ne decisero la colonizzazione alla fine della seconda metà degli anni Venti del secolo scorso.
Si fissarono due obiettivi complementari: lo sfruttamento intensivo/estensivo dei giacimenti auriferi e di altri minerali utili e delle altre risorse di quell’area (legname, pesca) e la costruzione di infrastrutture: la grande rotabile che collega Magadan alle miniere (la trassa), porti, aerodromi, strade, linee ferroviarie, edifici pubblici e per abitazioni civili, strutture dei campi di concentramento ed una base agricola (sovkhozy, fattorie statali) e industriale (produzione alimentare, cantieristica per la navigazione fluviale).
Lo sfruttamento delle miniere e la costruzione delle infrastrutture furono affidati, dal potere sovietico, ad un ente economico-penitenziario che, dotato di pieni poteri, faceva parte del Gulag: il Dal’stroj, grande trust industriale creato nell’Estremo oriente russo o Siberia orientale – dall’Artico ai confini con la Cina. Si decise nel 1931 di ricorrere a una forza di lavoro costituita prevalentemente da detenuti condannati per reati comuni e “politici” a lunghi periodi di reclusione – cinque-dieci anni in media – da scontare in campi (lager) di lavoro correttivo (ITL), situati presso le zone di sfruttamento minerario e i grandi cantieri delle costruzioni.
Il Dal’stroj – dipendente direttamente dal Commissariato del popolo agli affari interni (NKVD, prima OGPU) – crea e gestisce i lager del territorio kolymiano, chiamato in sigla SevVostLag (Lager dell’estremo oriente): vi esercita i pieni poteri, senza controllo delle autorità governative e del Partito comunista, anche se opera in stretta relazione con i piani produttivi centrali (Gosplan).
La prima spedizione di detenuti (200 in tutto) alla Kolyma, accompagnata dai capi del Dal’stroj, risale all’autunno del 1931. Dopo aver percorso in vagoni piombati l’enorme distesa sovietica per treno, i condannati arrivano al porto di Vladivostok e da qui, via nave, sono trasportati al porto di Nagaevo (Magadan). Nel 1932 i deportati sono 12 mila. Il loro numero sale progressivamente negli anni successivi fino a toccare il punto massimo – 190 mila – nel primo semestre 1941, alla vigilia dell’aggressione hitleriana all’URSS.
Le condizioni di vita (alloggio, vestiario) e di lavoro (aumento dell’orario e dei piani produttivi) nel SevVostLag peggiorano nel biennio 1937-1938. Cresce il numero dei deportati e aumentano le morti per fame e per le repressioni di massa che investono sia il «Continente» (come viene chiamato il resto dell’URSS), sia la stessa Kolyma, dove si calcolano in 30 mila circa il numero dei fucilati, seppelliti per lo più in fosse comuni. È il Grande Terrore.
Nella seconda metà degli anni Quaranta e nei primi Cinquanta del secolo scorso, ai detenuti che avevano scontato la pena non si consentiva di tornare nei luoghi di provenienza e li si obbligava a restare alla Kolyma, per ragioni economiche e demografiche. Le famiglie potevano raggiungerli.
Morto Stalin, il Dal’stroj passa sotto la direzione del ministero sovietico della metallurgia per poi venire soppresso: è antieconomico, ha bassa produttività, mentre le amnistie hanno rimesso in libertà i detenuti, parte dei quali torna ai luoghi di provenienza. Il SevVostLag viene liquidato insieme al Dal’stroj.
Galleria Fotografica della Kolyma (foto del 2015)
Difficile stabilire il numero dei deportati e delle vittime della Kolyma (dove le morti di fame, freddo e stenti hanno decimato la popolazione detenuta). Le fonti d’archivio del Ministero degli interni e del Gulag ridimensionano le cifre elaborate in Occidente prima della caduta dell’URSS.
Pietro Sinatti.







