Verrà l'Anticristo e sarà ecologista, pacifista, ecumenista, vegano, animalista, giustizialista, populista, omofilo.
Il sistema CEI che spinge i marchi a sostenere l'agenda woke usando come sponsor pubblicitari i trans
I dirigenti di aziende come Nike, Anheuser-Busch e Kate Spade, le cui approvazioni del marchio CEI hanno trasformato il trans Dylan Mulvaney in una celebrità, non lo fanno solo per dare segnali di virtù. I marchi che non si adeguano a questa "moda" woke rischiano di vedere compromesso il loro giro d'affari, e quindi stanno distribuendo affari redditizi a quelle che una volta erano considerate celebrità marginali (come il suddetto trans) perché devono impegnarsi a conquistare un punteggio di "credito sociale" importantissimo. L'arbitro e giudice di questa nuova "moralità" è Human Right Campaign di George Soros.
Leggi tutto: HRC e la Open Society Foundation di George Sorors: la mafia woke
Opere liriche, orchestre, critici. Il politicamente corretti sta corrodendo la musica classica. “Ascolti il Messiah di Handel? Sei un suprematista bianco”
Con il MeToo, Da Ponte e Mozart finirebbero in galera. Definiscono Bach, Beethoven, Schubert ‘musica colonialista’: come si fa? Schubert poi era una persona dolcissima… C’è un movimento secondo cui, nel preparare una stagione musicale, dovrebbe esserci un equilibrio tra uomini, donne, colori di pelle diversi, transgender… Lo trovo molto strano”.
Nonostante l’espressione “politicamente corretto” venisse già usata nel XVIII sec., acquisì il senso in cui la intendiamo oggi a partire dagli anni 20 dello scorso secolo, nell’Unione Sovietica. Nel 1894 il leader rivoluzionario comunista Vladimir Lenin coniò il concetto partiinost’ - la mentalità di partito. Dopo pochi anni, venne sostituito da politicheskaya pravil’nost’ (politicamente corretto) come riferimento allo stesso concetto.
Leggi tutto: Le radici marxiste del "politicamente corretto"
«Stiamo rovesciando la Storia, serve un elettroshok»: l'intervista a Federico Rampini, sul palco a Verona - L'Arena 21 settembre 2022
Vecchi totem e nuovi tabù. È questo il titolo che Federico Rampini ha scelto per la serata che lo vede ospite del Festival della Bellezza, oggi, mercoledì 21, alle 21.15 al Teatro Romano. Il giornalista e saggista, residente negli Stati Uniti da oltre vent’anni, racconterà le questioni affrontate nel suo ultimo libro Suicidio occidentale. Perché è sbagliato processare la nostra storia e cancellare i nostri valori (Mondadori, 2022).
Rampini, cosa sono i vecchi totem di cui ci parlerà?
I vecchi totem sono il rigurgito di un antiamericanismo che è stato un dogma condiviso da tante tribù ideologiche della storia italiana, dagli ex fascisti agli ex comunisti, fino a una fetta di mondo cattolico. L’America, e quindi anche l’occidente, sono stati visti come il male supremo. E questa è la cultura che è diventata dominante perfino in tante università americane: descrivere l’America come l’impero del male è diventato una specie di nuovo dogmatismo.
Leggi tutto: Stiamo rovesciando la Storia, serve un elettroshok
di Federico Rampini
Se un attacco nel cuore dell’Europa ci ha colto impreparati, è perché eravamo impegnati nella nostra autodistruzione. Il disarmo strategico dell’Occidente era stato preceduto per anni da un disarmo culturale. L’ideologia dominante, quella che le élite diffondono nelle università, nei media, nella cultura di massa e nello spettacolo, ci impone di demolire ogni autostima, colpevolizzarci, flagellarci. Secondo questa dittatura ideologica non abbiamo più valori da proporre al mondo e alle nuove generazioni, abbiamo solo crimini da espiare. Questo è il suicidio occidentale. L’aggressione di Putin all’Ucraina, spalleggiato da Xi Jinping, è anche la conseguenza di questo: gli autocrati delle nuove potenze imperiali sanno che ci sabotiamo da soli. Sta già accadendo in America, culla di un esperimento estremo.
di Renato Cristin
Da due mesi la guerra in Ucraina sta uccidendo persone e distruggendo città, con un’intensità crescente e intollerabile, che va dalla devastazione dei centri urbani e dei territori, ai massacri della popolazione, crimini inammissibili e perseguibili come tali. Ed è dall’inizio della guerra che molti si chiedono cosa poteva fare l’Occidente per evitare l’aggressione russa, dove abbiamo sbagliato – e certamente errori di vario genere sono stati commessi –, ma l’ostacolo principale è stato (ed è tutt’ora) che l’Occidente non ha saputo parlare con la Russia perché ha scordato il linguaggio, il linguaggio adatto, che è fatto di parole, di argomentazioni ma anche di simboli, di atti e di risolutezza, pure sul piano militare, e di rispetto per l’avversario. L’Occidente di Eisenhower, di Adenauer, di Ronald Reagan e Giovanni Paolo II sapeva parlare all’URSS, perché oltre a rispettare il nemico ne conosceva l’essenza ideologica e la prassi politica, ed è stato anche grazie a quel linguaggio che l’impero sovietico è crollato. Oggi l’Occidente ha perduto quella conoscenza, e nel frattempo la tentazione sovietica, sempre viva non solo nelle alte sfere del Cremlino ma anche in una parte dell’opinione pubblica russa, si è riaffacciata e ha trovato forma, già dall’occupazione di parte della Georgia e poi della Crimea, nell’espansionismo veicolato con la guerra, sullo scacchiere mediorientale e su quello nordafricano.
di Edoardo Vigna - Intervista a Federico Rampini - Corriere della Sera 18- aprile 2022
L’editorialista del Corriere in un libro mette in evidenza la debolezza per cui l’attaco di Putin ci ha colto di sorpresa: «Procediamo alla demonizzazione dei nostri valori»
Parlare di tendenze suicide dell’Occidente mentre all’esterno c’è chi commette omicidi di massa può sembrare un paradosso. In realtà con il suo nuovo libro Suicidio occidentale (Mondadori), Federico Rampini, editorialista del Corriere della Sera, vuole mettere in evidenza proprio quella debolezza intrinseca in atto che ha fatto sì che l’attacco di Vladimir Putin ci abbia colto di sorpresa: eravamo impegnati nell’attività di autosabotaggio, prima di tutto culturale, con cui miniamo i pilastri della nostra società. L’ideologia dominante — in America, ma via via anche in Europa — pare imporci di colpevolizzarci e autoflagellarci, innanzitutto a partire dal diktat dell’allineamento ormai acritico al pensiero politically correct, che domina ovunque, dalle università alle aziende e alle istituzioni.
Vai al cinema e trovi la solita storia a sfondo lesbico, con un richiamo storico al Male Assoluto e un’occhiatina complice ai migranti, meglio se neri, più una tiratina di erbe ecocompatibili. Peggio ti senti se vai a teatro, dove adattano a quel presente corretto e a quel presepe ogm anche autori antichi, drammi e opere del passato, travestiti e parlanti con le solite menate di oggi. Poi ascolti la musica somministrata dai media e vedi e senti gruppi di musicanti ossessivi, di quelli che rompono i timpani e non solo, coi loro rumori e le loro grida bestiali di dannati in preda ad allucinazioni, osannati ogni giorno dai media, che lanciano il solito messaggio sui diritti gay e dintorni. Che grandi, si preoccupano dell’Umanità e dei Diritti… Vai in libreria e trovi un nugolo di libri dei più vari autori che dicono tutti la stessa cosa: basta con le identità, accogliamo il diverso, ripudiamo tutto quel che sa di tradizioni, radici, civiltà, famiglie, salviamo il pianeta in pericolo, attenti al nazi che rialza la testa, apriamoci al mondo entrando però tutti dalla stessa parte, percorrendo tutti lo stesso cammino di progresso ed emancipazione. Ridicolo questo elogio del diverso nella ripetizione dell’Uguale. Ti rifugi in chiesa e senti il Principale ripetere le password dell’epoca: accoglienza, poi la solita invettiva contro i muri e i confini, lo stesso pacchetto di precetti e condanne. La Chiesa smette di essere la Casa del Signore e diventa un gommone per trasportare migranti nell’odiato occidente.
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