Terrore Rosso: campagna di terrore scatenata tra il 1918 e il 1921 durante la guerra civile nella Repubblica socialista sovietica federata di Russia (poi URSS) dal governo bolscevico e condotta dalla polizia politica (la famigerata CEKA di cui era capo Feliks Dzeržinskij), contro gli oppositori, o sospetti oppositori del regime e contro coloro che venivano classificati come “nemici di classe”, tra i quali i membri della piccola borghesia, e della nobiltà furono i bersagli principali.

La campagna fu giustificata dai massimi dirigenti del regime bolscevico con la necessità di difendere la causa rivoluzionaria socialista (vedi Rivoluzione d'ottobre). Nel luglio del 1918, per scongiurare la possibilità che le Armate bianche antirivoluzionarie potessero liberarlo, lo zar Nicola II fu assassinato con tutta la sua famiglia.

L’attentato a Lenin del 30 agosto provocò un’impennata del terrore rosso: seguì un’ondata di feroci esecuzioni in massa, cui fecero da contrappunto le rappresaglie e le azioni di guerra degli antibolscevichi, passate a loro volta alla storia con la definizione di “Terrore Bianco” ma in realtà si trattò di ben poca cosa in confronto alle spietate azioni messe in atto dai comunisti.

Tra il 1918 e il 1919 più di 200.000 persone furono assassinate dalla polizia segreta sovietica; altre centinaia di migliaia morirono in carcere o nei campi di concentramento, o furono inviate ai campi di lavoro forzato (vedi Gulag).

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